Cos’è il bene comune?
Stefano Rodotà ci aveva spiegato “che ci sono beni che non coincidono né con la proprietà privata, né con la proprietà dello Stato, ma esprimono dei diritti inalienabili dei cittadini. Tutti ne possono godere e nessuno può escludere gli altri dalla possibilità di goderne”
Dunque sono beni comuni l’acqua, le foreste, le piazze, la salute e la conoscenza in rete.
L’acqua non “dovrebbe” essere privatizzata perché analogamente all’aria è un fattore di vita. Tra i beni comuni che hanno fatto irruzione negli ultimi anni vi è l’informazione, la conoscenza in rete, che implica la condivisione e la partecipazione attiva nella produzione di conoscenza.
Se il destinatario dei beni comuni è la persona, attorno alla quale oggi si stanno sviluppando altri diritti, si pensi ad esempio alle biotecnologie, riteniamo che, al pari dell’aria e dell’acqua, vi sia anche il diritto non solo dell’accesso al cibo, ma il diritto all’accesso al cibo sano.
Ricondurre la produzione di cibo nell’alveo dei beni comuni è tuttavia una battaglia di “Sisifo” visto che i soggetti proprietari della loro produzione, trasformazione e distribuzione sono le multinazionali slegate da qualsiasi obbligo di responsabilità sociale e con la capacità di produrre esse stesse attività politica e norme funzionali ai propri vantaggi.
Tuttavia se innestiamo l’attuale sistema di produzione di cibo, che contiene responsabilità sociale e ambientale (metodi biologici, naturali), come elemento di crescita di un nuovo antagonismo sociale diviene possibile collegarci all’insieme dei movimenti che si muovono sui diritti.
Facendo la scelta di approvvigionarsi presso i produttori biologici o che seguono modalità di coltivazione e di allevamento prive di impatti ambientali e sociali, riteniamo si faccia un atto di discontinuità, di consapevolezza e sicuramente un atto che consente di mantenere aperta una prospettiva.
La consapevolezza dell’importanza dei beni comuni ha una storia antica in Italia. Riportiamo uno scritto del frate di Ferrara, Girolamo Savonarola, vissuto nella seconda metà del 1400, bruciato come eretico a Firenze:
Sul bene comune (di cui non v’importa nulla)
Voi non siete un’umanità ma una somma di uomini.
Pensate a voi, badate a voi,
v’accorgete che esistono «altri» solo qualche volta, per caso,
quando c’è da invidiarli o da disprezzarli.
Altrimenti chi se ne frega degli altri: tutto è solo «io».
I miei fatti. I miei affetti. I miei soldi.
Siete gente arida. Senza calore.
E se vi infiammate per una questione all’apparenza «di principio»
non lo fate perché ci credete, no,
ma solo per difendere quello stramaledetto orto che è il vostro
interesse.
(…)
Il bene comune? Ma che ve ne parlo a fare?
Non è una lingua vostra, questa.
Per farmi capire dovrei parlare forse di guadagni, di interessi.
Dovrei parlare di tornaconto. Dell’acqua al vostro mulino.
Allora saltereste tutti sugli attenti, direste «fammi sentire!».
Come si dice? Musica per le vostre orecchie.
Invece, guarda caso, mi intestardisco, non mi stanco:
parlo di bene comune,
parlo di cercare qualcosa che valga per tutti, nessuno escluso,
parlo di fare cose utili, di non dividere ma unire, anche se ci perderai
qualcosa.
Vi interessa? Ho capito: sto abbaiando.
Ma sono fiero, non mi vergogno, d’essere un cane.